La filigrana.
L’origine di questa tecnica di lavorazione è, a tutt’oggi, ancora oscura. Si riscontrano, infatti, analogie fra i prodotti in filigrana appartenenti ad aree culturali lontane e anche molto diverse: era conosciuta nel mondo cicladico e cretese, dagli Egiziani e dagli Arabi, dai Greci e dagli Etruschi ed anche popoli dell’area nord-europea. E si sa che gli Assiro-Babilonesi esportavano, fin dai tempi più antichi, la loro oreficeria in tutto l’Occidente.
Ciò conduce a pensare che questo tipo di lavorazione abbia avuto origine in un centro culturale asiatico e sia stato diffuso nel Mediterraneo e nelle altre aree di influenza fenicia, attraverso i contatti culturali fra diverse popolazioni, le emigrazioni e i traffici commerciali. In Sardegna arrivò nel XV secolo con gli Spagnoli i quali ne avevano preso l’ uso dagli Arabi. In Sardegna la filigrana è usata per la fattura di quasi tutti i gioielli ed ha avuto uno sviluppo ed un perfezionamento tali da superare la tecnica degli antichi Maestri, assumendo, inoltre, forme peculiari. Consiste nell’utilizzare due fili sottili e attorcigliati, lavorati a spirali, linee geometriche e motivi naturalistici. Più particolarmente, si riduce, innanzitutto il metallo in filo sottilissimo mediante la trafila e la filiera. Si attorciglia, quindi, il doppio filo facendolo scorrere su due tavole e si passa alla lavorazione che può essere di due tipi; «a giorno» e «a notte». Quella «a giorno» è la lavorazione in trasparenza, cioè senza supporto. Si eseguono prima i vari elementi che definiscono la struttura del gioiello e che possono essere di filo più grosso, chiamati scafi. Poi l’interno dello scafo viene riempito con filo avvolto a spirali, che si scalda nei punti di contatto con lo scafo. La lavorazione «a notte» consiste nell’applicazione del filo ritorto e sagomato in forme diverse quali piccole spirali, motivi floreali e geometrici, saldato su di un supporto. La tecnica «a notte» è particolarmente utilizzata per evidenziare i contorni degli oggetti in lamina ritagliata e traforata. In generale, con la filigrana si ottengono particolari effetti che conferiscono ai gioielli leggiadria e preziosità.
La doratura
La doratura dei metalli si esegue con svariati procedimenti che indichiamo qui, di seguito.
La doratura «per via galvanica» avviene per mezzo della corrente elettrica. Si usano anodi d’oro mentre l’oggetto funge da catodo. La doratura «per spruzzamento catodico» avviene per mezzo di una scarica elettrica tra due catodi d’oro.
In quella «per vaporizzazione», l’oggetto viene dorato da un filo d’oro che, al passaggio della corrente elettrica, arroventandosi, evapora e quindi deposita uno strato d’oro sull’oggetto. Nella doratura «a fuoco» si strofina sull’oggetto un amalgama d’oro e mercurio, facendo evaporare quest’ultimo a fuoco vivo. Ma il procedimento più antico, dove si rendono maggiormente necessari l’abilità e il gusto dell’orefice artista, è quello «con placcatura», che si realizza con lamine d’oro molto sottili che, sovrapposte all’oggetto, vengono compresse fino ad ottenerne la saldatura.
L’argentatura
Per argentare i metalli si usano gli stessi procedimenti usati per la doratura. E così pure la «placcatura» avviene sottoponendo a forte pressione una lamina d’argento messa a contatto col metallo da argentare. E l’elenco non finirebbe qui. Molte cose non sono state dette e molti altri sono i metodi di lavorazione, di rifinitura e trattamento dei metalli, ma abbiamo voluto soffermarci solo su alcuni, i più usati, e quelli che maggiormente riguardano l’oreficeria, tema di questo lavoro, sperando di aver raggiunto, almeno in parte, il nostro scopo e di aver offerto un panorama sufficientemente ampio ed esauriente.